2015 – 2016 macchine inutili

Si stagliano su uno sfondo anonimo quasi prive di peso, bizzarre, goliardiche e sottilmente inquietanti, come strutture oniriche emerse dal sonno travagliato di un ingegnere pazzo o di un bambino particolarmente ardito…
Con un meticoloso e originale lavoro di dissezioni e incastri, rimandano echi delle avanguardie e degli sperimentalismi affacciatisi, soprattutto a partire da Duchamp, nel Novecento artistico, anche se non condividono l’astrattezza e la freddezza di certa arte concettuale che interpella la sola componente lucida dello spettatore.
Il gioco sinuoso delle loro forme, l’accostamento tra elementi meccanici, tessuti e parti organiche, l’inventiva di questi assemblage spiazzanti e improbabili ne fanno, infatti, un’esperienza emozionale ricca, piacevole anche dal punto di vista estetico e “retinico” del fruitore, che si trova a interrogare queste forme in uno stato quasi di estatica e ingenua sospensione, alla ricerca di un “senso” che va inteso come significato ma anche, vista la presenza costante di ruote e ingranaggi, come senso di marcia, ovvero di funzionamento.
Il fatto, però, è che questi strampalati congegni, questi apparecchi oscuramente metafisici sono  programmaticamente fin dal loro autonominarsi  delle macchine che… non funzionano!  Un mondo quasi globalmente logorato dalla consuetudine alle logiche del capitalismo, in un’epoca abituata a dare un prezzo agli uomini e un valore solo a ciò che gli uomini producono (e, per contrappasso, consumano), è stimolante  e quasi liberatorio  veder sfilare simili gratuite invenzioni, simili marchingegni sofisticatamente superflui.
Il loro nonsense, la loro inservibilità pratica è tuttavia riscattata, catarticamente, dall’equilibrio compositivo, dalla bilanciata “ripresa con variazione” degli elementi costitutivi, nonché dagli studiati contrappesi di volumi e simmetrie. Come a dire che, in arte, non c’è nulla di inutile se diventa capace di interpellare in modo profondo il nostro essere attraverso un adeguato codice comunicativo. Il loro proporsi, pertanto, come macchine inservibili nella pratica, ma concettualmente utilissime, ci svela la loro autentica natura: più adatta alla speculazione filosofica che a quella finanziaria, all’otium di chi è padrone del proprio tempo piuttosto che al negotium di chi, sottostando alle leggi della produttività, ne risulta schiavo.
Omar Ceretta

 

 

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